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Madre Teresa di Calcutta Beata -Biografia

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Messaggio  vayiolet.ta Mer 5 Feb 2014 - 19:22




«Madre Teresa di Calcutta : ritratto»


COME NON PARLARE DI QUESTA GRANDE PERSONA..
OGNI SUA PAROLA è POESIA CHE TOCCA L'ANIMA ANCHE DEL PIù ATEO DEGLI UOMINI SULLA TERRA..
GRAZIE MADRE TERESA.. GRAZIE PER TUTTO QUELLO CHE HAI FATTO ED INSEGNATO...

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LA MATITA DI DIO



Appena arrivò l’alba, Madre Teresa tornò ad uscire per le strade di Calcutta, con due suore. La più giovane tirava il carretto. Le strade della città hanno i marciapiedi abitati. Uomini e donne di ogni età, quando la febbre o la fame li abbatte, si distendono sul marciapiede. Attendono la morte. I passanti non se ne preoccupano.
È una cosa normale, di sempre. I bambini piccolissimi si affannano attorno alla madre morta, gemono per un po’ di tempo. Poi si fanno quieti e tranquilli anche loro. La morte passa per tutti.
Le suore di Madre Teresa caricano sul carretto i moribondi e li portano alla loro casa. Li adagiano su pagliericci puliti, lavano le piaghe, liberano i corpi dagli insetti, li coprono con un lenzuolo pulito.
Madre Teresa passava per le lunghe file dei pagliericci accarezzando mani, dicendo parole di speranza. Era una donna piccola e minuta, con un volto fuori dal tempo, vecchio e insieme luminoso, bello come è bella una roccia corrugata dal vento e dalla pioggia.


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MADRE TERESA DI CALCUTTA



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La bussola



Madre Teresa era nata il 27 agosto 1910 a Skopje, nell’attuale Macedonia, terza e ultima figlia di Kolë e Drane Bojaxhiu (pronuncia: Boiagìu), una famiglia albanese. Dopo pochi giorni venne battezzata nella chiesa del Sacro Cuore col nome di Gonxhe (pr.: Gònge) che in albanese significa «bocciolo», un nome assai popolare e significativo. Di salute era un po’ debole e la madre ne era preoccupata. A sette anni frequentò la scuola cattolica della parrocchia. Era intelligente e obbediente. Per tutta la famiglia era la gioia e l’amore, un vero bocciolo. Il fratello Lazër ricorda: «Era una ragazza normale, forse un po’ ritirata, ma già nella scuola elementare si notava per il suo talento per lo studio. Era la prima della classe, ed era sempre pronta ad aiutare gli altri».






«Madre Teresa di Calcutta in
famiglia dp la morte del padre »
Da giovane era molto impegnata nella comunità parrocchiale: cantava nel coro, recitava nel teatro della parrocchia e in quello cittadino, ballava, scriveva poesie, suonava il mandolino e faceva parte del gruppo giovanile, la «Congregazione di Maria».
Il musicista Lorenc Antoni, ricorda: «Gonxhe cantava benissimo, era un soprano, mentre sua sorella Age, era un contralto. Assieme cantarono la mia prima composizione, Sulla collina presso il lago, che fu eseguita nel marzo del 1928 per beneficenza a favore dei poveri. Gonxhe era puntuale alle prove, ed era molto allegra. Partecipava sempre alle manifestazioni della gioventù cattolica: recitava, cantava, suonava... era una persona attorno alla quale tutti si radunavano volentieri, soprattutto le ragazze. Era nata per organizzare».
L’assistente del gruppo era un gesuita, padre Jambrekovic. Proprio in quegli anni i gesuiti avevano aperto una missione vicino a Calcutta. Nel gruppo giovanile di Skopje arrivavano lettere che descrivevano lo stato di estremo abbandono della gente. Gonxhe sentì lèggere quelle lettere e nacque in lei il desiderio di partire per Calcutta.
Nel 1928, proprio l’anno in cui canta nell’opera di Lorenz Antoni, Gonxhe pensa a cosa può fare della sua vita. L’ideale delle missioni è penetrato profondamente in lei. Ma è confusa e non sa cosa fare. Al suo confessore chiede: «Come posso sapere se Dio mi chiama?». E la risposta che si sentì dire è sorprendente e fresca come l’acqua di primavera:

«Attraverso la gioia. Se il pensiero di dedicare la vita a Cristo e ai fratelli suscita gioia e pace, una gioia profonda e rasserenante, ci sono buone ragioni per pensare che Dio ti stia chiamando. La gioia è la bussola, anche se indica una rotta difficile e forse anche dura».

La gioia, ecco quello che Gonxhe provava quando pensava alle missioni.

«Quando manifestai il desiderio di donare tutta la mia vita a Dio, disse Madre Teresa, mia madre era contraria, ma alla fine mi disse: Va bene, figlia mia, va’, ma sta’ attenta di essere soltanto di Dio. Non solo Dio ma anche lei mi avrebbe condannata, se non avessi seguito degnamente la mia vocazione. Un giorno, infatti, mi chiese: Figlia mia, sei vissuta soltanto per Dio?».


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Il peggio non sono le piaghe








«Skopje, casa-memoriale di Madre Teresa.»
Da Skopje si reca a Zagabria presso le Suore di Loreto, accompagnata dalla sorella e dalla mamma. Qui, il 13 ottobre 1928 parte alla volta di Dublino per imparare un po’ d’inglese e prepararsi per l’India. Il 6 gennaio 1929 giunge a Calcutta a da qui a Darjeeling dove farà i due anni di noviziato. Il 23 maggio 1931, Gonxhe Bojaxhiu, diventa Suor Teresa del Bambin Gesù, un bocciolo fresco e profumato per il giardino di Dio.
Il primo lavoro dopo il noviziato fu quello di infermiera: assistere ed aiutare i malati era una gioia per lei. Più tardi fu impegnata nello studio e nell’insegnamento presso la scuola St. Mary, una scuola prestigiosa, frequentata da ragazze benestanti e appartenenti alle caste ricche dell’India.

Il 24 maggio 1937, festa dell’Ausiliatrice, Suor Teresa, davanti al vescovo di Calcutta, Mons. Pereira, emette i voti perpetui e si consacra definitivamente a Dio. Di lì a poco scriverà alla madre e alla sorella che, dopo la morte del padre, si sono trasferite a Tirana: «Mi dispiace di non essere insieme con voi, mia cara mamma e sorella... ma la tua piccola Gonxhe è felice... questa è una vita nuova. Sono insegnante e il lavoro mi piace. Sono anche direttrice di una scuola e qui tutti mi vogliono bene».
A quella lettera, piena di gioia e di serenità, mamma Drane risponde:

«Mia cara figliola, non dimenticare che sei andata laggiù per i poveri. Ti ricordi della nostra Filja? (una povera della città n.d.r.) Ora è piena di piaghe, ma quello che la tormenta maggiormente è il sapere di essere sola al mondo. Noi facciamo quello che possiamo per aiutarla. In effetti il peggio non sono le piaghe, ma il fatto che è stata dimenticata dai suoi».

Ancora una volta è la madre che la spinge a darsi ancora di più a Dio.


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La rinuncia più difficile








«Veduta di Calcutta nel 1945..»
Al di là dell'alto muro del convento c'è il misero quartiere Moti Jheel, con i suoi tuguri e vicoli fangosi. Suor Teresa dalla finestra della camera vede tanto squallore: bimbi nudi e sporchi, vecchi sofferenti e moribondi, gente affamata e senza casa. Si rende sempre più conto che Calcutta non è solo la metropoli dei mercanti, degli uomini degli affari e della politica, ma che accanto ai grandi palazzi ci sono i tuguri dove tanti ogni giorno muoiono di fame. Inoltre dal 1939 tutto diventa più difficile: scoppia un'orrenda guerra che dall'Europa si estende in tutto il mondo. Anche l'India è coinvolta: e i poveri diventano sempre più poveri. Finita la guerra gli indiani festeggiano con danze e sacrifici agli dei. Suor Teresa sale su un treno che la riporta a Darjeeling per gli esercizi spirituali. Stretta in un cantuccio, faticosamente conquistato, pensa alla folla di affamati, storpi, ciechi e lebbrosi che popolano i marciapiedi di Calcutta. Tante scene che l'avevano sconvolta non può dimenticarle, vede mani che le si tendono per chiedere aiuto, ode i rantoli dei moribondi in mezzo alle strade. Per la notte, tanto dura il viaggio, non riesce a dormire e continuamente ripete «Devo fare qualcosa ... ».
Su quel treno ha una seconda chiamata o, come Madre Teresa in seguito l'ha definita «una vocazione nella vocazione. Il messaggio fu molto chiaro, dovevo uscire dal convento e aiutare i poveri vivendo in mezzo a loro». Ritornata a Calcutta chiede all'arcivescovo monsignor Périer l'autorizzazione a lasciare la congregazione per lavorare con i poveri. La prima risposta è un secco «no».
"Era giusto che rispondesse così - dirà più tardi la Madre -, perché un arcivescovo non può permettere alla prima arrivata di fondare una nuova opera, sotto il pretesto che è stato Dio a chiederlo». Suor Teresa si rende conto che non è facile lasciare il convento, ma non si scoraggia.


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Una seconda chiamata



In piena seconda guerra mondiale, sul Bengala si abbatte una carestia disastrosa. Due milioni di persone muoiono di fame nelle campagne desolate da una siccità eccezionale. Il pensiero di quelle vittime, e dei tanti che muoiono per le strade di Calcutta ogni giorno, comincia a tormentare Suor Teresa.
Un anno dopo, è il 1947, ripete la sua istanza. Per l'India è un periodo non facile poiché in seguito all'indipendenza l'antico impero inglese si divide in due Stati: l'Unione Indiana, di religione indù, e il Pakistan di religione musulmana seguaci delle due religioni cominciano a combattersi dando luogo ad atroci massacri e a nuove povertà. Suor Teresa segue i tragici eventi e sente che la vita del convento le sta sempre più stretta.
Finalmente il 16 agosto 1948 le giunge l'autorizzazione da Roma, con la firma di papa Pio XII, a lasciare il convento. Così, da sola, senza un tetto, con l'unica veste che indossa, 5 rupìe in tasca e una fede incrollabile, inizia la grande avventura. «Lasciare Loreto - confiderà molti anni più tardi -è stato il mio sacrificio più grande, la cosa più difficile che abbia mai fatto». Adolescente aveva abbandonato la famiglia, la casa patema, il proprio Paese, la propria cultura per andare in una terra straniera e lontana; ora Dio la chiama a una totale donazione di sé. E' serena e si sente libera di raggiungere il mondo dei derelitti.
Per 4 rupìe compra un sari di cotone, la veste più comune e povera delle donne indiane; è bianco bordato di azzurro e sulla spalla si appunta una piccola croce. Prende un treno per Patna, dove trascorre tre mesi presso le Medical Sisters per apprendere rudimentali nozioni di medicina, poi rientra a Calcutta alla ricerca dei più miseri slums di Tilia e Motijhil. Passa da una baracca all'altra e inizia l'opera con acqua e sapone: lava i bambini, i vecchi piagati, le donne sofferenti. Va in giro chiedendo cibo e medicine, mendicando per curare e sfamare i suoi poveri. Dopo tre giorni apre una scuola, all'aria aperta, sotto un albero. «Come lavagna - preciserà - avevamo la terra polverosa dove con un bastoncino disegnavo le lettere».



«Madre Teresa di Calcutta
soccore e sfama per le strade »
Dopo la «scuola» comincia a camminare senza sosta per le strade della città. In pieno centro nelle viuzze di Georgetown è letteralmente assalita da uno stuolo di mendicanti e di bambini affamati che urlano: «Niente madre... niente padre... niente fratello straniera dare dei soldi!». Ai lati, sui marciapiedi, quelli di cui non si sa se sono ancora vivi o sono già morti. «La prima persona che tolsi dal marciapiede - racconterà Madre Teresa - era una donna mangiata per metà dai topi e dalle formiche. La portai con un carretto all'ospedale, non volevano accettarla, se la tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché non l'avessero ricoverata. Poi fu la volta di un'anziana che si lamentava tra i rifiuti. Nell'indifferenza dei passanti mi sforzai di tirarla fuori, mentre tra le lacrime continuava a ripetermi: "E dire che è mio figlio che mi ha gettata qui"».
Ogni giorno la fragile suora dal sari bianco continua la sua opera per le vie di Calcutta e il suo corpo per gli stenti è tutto dolorante. Quando è sopraffatta dalla fatica ripensa al convento di Loreto, alla vita regolare, alla sicurezza. Ma il suo sì ai poveri è deciso, è convinta che la sua vita sia assieme a coloro che cascano per la strada consapevoli di morire e accanto ai quali i «vivi» passano volgendo il capo. La sua abitazione è una baracca sterrata e lì porta quelli che non sono accolti negli ospedali. Nel febbraio 1949 Michele Gomez, funzionario dell'amministrazione statale, mette a disposizione di suor Teresa un locale all'ultimo piano di una casa di Creek Lane e lì giunge la prima consorella. E' Shubashini, una ragazza di famiglia agiata ex alunna di Loreto, che spogliandosi del suo elegante sari indossa la veste a buon mercato e prende il nome di Agnese, quello secolare della fondatrice. Presto le suore diventano 12 e la comunità si va formando.


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Nasce la congregazione








«Le Suore Missionarie della carità di
Madre Teresa di Calcutta»
Il 7 ottobre 1950 nasce ufficialmente, con decreto della Santa Sede, la Congregazione delle Missionarie della carità e suor Teresa diventa Madre Teresa. In aggiunta ai tre usuali voti di povertà, castità e obbedienza la nuova comunità ne fa un quarto di «dedito e gratuito servizio ai più poveri tra i poveri». Il 1 febbraio 1965 la società religiosa fondata da Madre Teresa diventa Congregazione pontificia. Inizia la vita secondo la Regola:- alzata alle 4.45, preghiera fino alle 7.30, colazione e poi il lavoro nelle bidonvilles.
Data la massiccia affluenza dei malati il piccolo locale di Gomez si rivela insufficiente. E in più l'esperienza sconvolgente di molti moribondi rifiutati dagli ospedali rende insofferente la Madre. «E' inammissibile - dice - che tanta gente muoia senza alcun conforto. Dei moribondi mi occuperò io». Comincia così l'affannosa ricerca di un locale dove sistemare delle reti. Dopo varie e continue richieste il Comune le affida il Dormashalah (casa del pellegrino»): due ampi saloni accanto al tempio di Kalighat dedicato alla dea nera Kali. Quando Madre Teresa va a prenderne possesso ai suoi occhi si presenta una scena apocalittica: tra il denso fumo dell'incenso e il fetore del sangue degli animali sacrificati alla dea, i pellegrini - assistiti dai sacerdoti - compivano riti per gli antenati. Altri sacerdoti meditavano, tra il frastuono e i gemiti, e pregavano in una immobilità assoluta; i mendicanti frugavano nella polvere per trovare gli avanzi di cibo e i resti degli animali.
In quella indicibile babele Madre Teresa si insedia con le sue suorine. Armata di pennello e calce imbianca le sudicie pareti. Pone una statua della Madonna all'ingresso, sistema delle brandine... e tutto è pronto per accogliere gli infermi. La Casa per il moribondo abbandonato, Nirmal Hriday, viene inaugurata: è il 1954. Madre Teresa parte con il suo carrettino, ormai famoso nella città, per la «raccolta» dei moribondi di ogni età. «Per molti che qui arrivano non c'è più nulla da fare, ma se riprendono conoscenza dopo le nostre cure almeno muoiono amati. Spesso mi sono sentita dire - sono parole della Madre "Per tutta la vita ho vissuto come un animale, ora muoio come un essere umano..."».
Oltre alla vita che si spegne la fondatrice guarda anche alla vita nascente con l'apertura della Casa dei bambini, Shishu bhavan, dove accoglie i bambini abbandonati, trovati spesso nei bidoni della spazzatura. La Madre racconta spesso delle notti insonni passate a cullare i neonati per farli addormentare. «Li rendiamo molto felici qui - afferma -, ma niente vale l'amore della famiglia. Un giorno ho visto un bambinetto che non mangiava: sua madre era morta. Ho cercato allora una suora che somigliava alla madre e le ho detto di giocare col bambino... il suo appetito è tornato da quando ha cominciato a chiamare la suora "mamma"». E' con in mente il loro avvenire che Madre Teresa cerca di far adottare questi bambini.

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Costruire la Città della Pace








«Casa Madre (Accoglienza) ..»
Molti progetti della Madre si vanno realizzando ma manca forse quello più ambizioso: togliere i lebbrosi, i suoi figli prediletti come li definisce, dagli slum. Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche ma spera di costruire per loro una città. Sa già che la costruirà sul terreno di Asansol donatole dal governo, che dovranno abitarci 400 famiglie di lebbrosi e che la chiamerà «Città della Pace», Chantinabal ma le manca il danaro. Puntualmente però la Provvidenza arriva. E' il 1964, a Bombay si celebra il Congresso eucaristico alla presenza del Papa.PaoloVI incontra la Madre e constata personalmente il suo enorme e fruttuoso lavoro. Al momento di partire le lascia un ricordo: una stupenda, lunga auto americana, decappotabile, tutta bianca con sedili rosso sgargiante con una dedica: "A Madre Teresa per la sua universale missione d'amore". Appena la Madre vede la lussuosa vettura s'immagina seduta in quello splendore e scuote il capo dicendo: «Chissà quanta benzina consuma! No, meglio il mio carrettino tirato a mano. La metterò all'asta. Questa è la macchina dei lebbrosi». E infatti con il ricavato costruisce il primo lotto, dei 14 previsti, della «città della pace»; la strada più grande la chiama viale Paolo VI.
Due anni dopo, grazie ad altri aiuti e premi, il villaggio della pace viene terminato: l'antica speranza è diventata realtà. All'interno della città ci sono i negozi, i giardini, l'ufficio postale e le scuole. Ormai il nome di Madre Teresa varca i confini dell'India e cosi la congregazione: viene aperta a Cocorote, in Venezuela, la prima casa delle Missionarie della Carità. E' il luglio del 1965.




«Stanza di Madre Teresa di Calcutta..»
Così da un angolo dei bassifondi di Calcutta comincia ad irradiarsi per il mondo l'amore per Cristo attraverso i sofferenti. La minuta figura di Madre Teresa, il suo fragile fisico piegato dalla stanchezza e dall'abitudine a curvarsi su ogni sofferente, il suo scarno viso solcato da innumerevoli rughe sono ormai conosciuti in tutto il mondo. Nel 1979, poi, da Stoccolma arriva il premio Nobel per la pace. Chi ha avuto la fortuna di incontrare Madre Teresa e ha potuto ascoltarla sa che da lei emanava qualcosa di eccezionale; sia quando pronunciava parole «sconcertanti» per la loro semplicità, sia quando, assorta in preghiera, taceva con il Rosario tra le mani e il sorriso che le illuminava il volto. Solo allora si capiva che le sue parole, i gesti, tutta la sua opera provenivano da qualcosa di più profondo che le bruciava dentro: il grande amore per Cristo attraverso i fratelli...

Questa è la stanza dove Madre Teresa ha vissuto e lavorato dal 1950 fino alla sua morte avvenuta nel 1997. È da questa stanza che la Madre tornò alla casa di Dio il 5 settembre 1997.


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